A cura di Silvia Zanolla.
Gli anni in cui Zago si forma e svolge gran parte della sua attività artistica coincidono con un periodo storico drammaticamente segnato dall’avvicendarsi di due conflitti mondiali e dall’imporsi dei regimi totalitari; un periodo di grandi trasformazioni sotto il profilo economico, tecnologico, sociale e culturale, che si riflettono in campo artistico in un incredibile fermento, contraddistinto dal rapido susseguirsi, nel giro di pochi decenni, di tendenze artistiche tra loro opposte.
Durante il periodo napoleonico, Milano e Roma erano state le culle del nuovo linguaggio neoclassico, al punto tale che, uno dei maggiori artisti lombardi del periodo, Andrea Appiani, aveva assunto il ruolo di pittore ufficiale di Napoleone, eseguendo molti dei ritratti di Bonaparte divenuti iconici. Nel panorama milanese di quegli anni, un posto di rilievo spettava anche al veneziano Francesco Hayez.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, tuttavia, tra gli artisti si va affermando l’esigenza di rappresentare i problemi più urgenti della società, che l’Unità aveva lasciato irrisolti. Viene a cadere la tradizionale distinzione tra soggetti di maggiore e minore dignità e si affaccia, piuttosto, la convinzione che l’arte debba essere libera di rappresentare tutto l’esistente, anche nei suoi aspetti più umili e insignificanti.
L’idea di un arte che trae origine dall’osservazione diretta della realtà – sostenuta dalla nascita della fotografia e dalle recenti scoperte scientifiche nel campo dei fenomeni ottici – dà vita a due opposte ramificazioni: da una parte il Realismo di Courbet e Daumier, che tenta di restituire il dato naturale in modo, quanto più possibile, fedele e oggettivo e di porre questa verità ottica al servizio della critica sociale; dall’altra, l’Impressionismo di Degas, Monet e Renoir che, al contrario, vuole offrire allo spettatore l’impressione soggettiva suscitata dalla realtà.
Sebbene la Francia mantenga un ruolo centrale nella nascita e nello sviluppo di queste due correnti artistiche, anche l’Italia ne viene influenzata e le rielabora in una molteplicità di declinazioni regionali. A Firenze si sviluppa il movimento antiaccademico dei Macchiaioli guidati da Giovanni Fattori, mentre a Milano una vasta cerchia di intellettuali e artisti dà vita al movimento della Scapigliatura che, contestando il carattere conservatore e borghese assunto dalla società post-unitaria, per la prima volta, pone al centro del dibattito culturale italiano il tema dell’emarginazione sociale dell’artista, che andrà ad alimentare il mito dell’“artista maledetto”.
In quello stesso 1901 in cui Zago approda a Milano, Pellizza da Volpedo afferma la necessità di passare dall’arte per l’arte all’“arte per l’umanità” giungendo, dopo una gestazione di quasi dieci anni, alla versione definitiva de Il Quarto Stato, opera che celebra la nuova classe sociale del proletariato, divenendo un’icona dell’ideale di giustizia sociale, oltreché capolavoro del Divisionismo italiano.
Zago, che nasce nel 1880, non appartiene alla generazione degli Impressionisti, Macchiaioli e Divisionisti, ma è piuttosto coetaneo di Marinetti e Boccioni. Tuttavia, il nuovo linguaggio futurista è quanto mai distante dalla sensibilità artistica del nostro, che rimane genealogicamente ancorato alle correnti della seconda metà dell’Ottocento: Zago guarda a Favretto (maestro di Dall’Oca Bianca) e ai fratelli Ciardi e, come erede della pittura veneta, abbraccia alcuni aspetti del linguaggio impressionista che si basano sul tonalismo atmosferico. Dai macchiaioli riprende l’accostamento di macchie di diversa intensità e valore luministico riducendo, tuttavia, le dimensioni della macchia a tasselli di colore che richiamano piuttosto le ricerche divisioniste ma, da tutti questi apporti, Zago trae ispirazione giungendo ad una ricerca espressiva di indiscutibile originalità stilistica.
I temi preferiti da Zago sono scorci dei navigli con le lavandaie protese sugli argini a lavare i panni, piazze brulicanti in occasione dei mercati rionali e, soprattutto, scene di vita colte ai giardini pubblici di Villa Reale: luogo prediletto da cui Zago trae ispirazione e dove dipinge en plein air quadri di piccole e medie dimensioni raffiguranti scene ai caffè, uomini che leggono il giornale, eleganti signore con graziosi cappellini che chiacchierano e ricamano e, più di ogni altro soggetto, balie e bambini immersi nel verde.
L’opera di Zago sta a cavallo tra modernità e contemporaneità: della prima conserva la predominanza della dimensione pittorica visiva, l’interesse per il dato percettivo e per la natura; della seconda anticipa un nuovo rapporto con il referente che, per quanto ancora riconoscibile, non è più un oggetto solido plasticamente definito, ma piuttosto un fenomeno la cui pelle è già sul punto di mutare mentre tentiamo di afferrarne i contorni.
In tal senso, nei dipinti di Zago, è possibile ravvisare i prodromi di quel processo che, a partire dall’Impressionismo, e prima ancora con Turner, aveva incrinato il principio cardine della pittura di rassomiglianza dell’immagine rispetto alla realtà, che troverà il suo punto di rottura definitivo nell’arte di Kandinsky, il quale riteneva che anche i colori fossero “cose” al pari di tutti gli altri oggetti del mondo.